11 marzo 2018
Dai giornali di oggi 11 marzo
Governo, Di Maio alza il tiro: “Un governo senza di noi non si può fare, diversamente sarebbe un clamoroso insulto alla democrazia e ai cittadini. Non decidano di fare un governo di tutti contro di noi” (Corriere e tutti). Ribadita l’apertura a tutte le forze politiche, alla condizione però che il premier sia lo stesso Di Maio. E sul programma “partiremo dai temi: prima occasione utile, il Documento di programmazione economica e finanziaria”. Dal capo dei vescovi italiani, Bassetti, segnali di apertura: “Il futuro governo sia totalmente al servizio della gente e del bene comune”. Dal vescovo di Taranto Santoro l’auspicio di ricucire la forbice del divario tra Nord e Sud (Avvenire).
Sulla presidenza delle Camere ci sarebbe un’intesa di massima per dare Montecitorio ai 5Stelle e il Senato a Lega o Forza Italia (Corriere, Messaggero e tutti). Repubblica parla di ticket Carelli-Calderoli o Giorgetti-Toninelli.
Ma la gestazione del nuovo governo sarà lenta e lunga, prevede il Corriere, difficile si trovi una soluzione prima di maggio. E tutti gli scenari sono aperti. Il Messaggero parla di piano B del Colle nel caso permanga lo stallo attuale: sarebbe un governo istituzionale, o governo di tutti e di nessuno, come quello di Dini nel 1994, ipotesi che piacerebbe a Berlusconi. Il governo non avrebbe una colorazione politica e una formula tale da raccogliere una larghissima maggioranza parlamentare; dentro dovrebbero esserci le forze premiate dagli elettori e quindi M5S e Lega. Alla guida andrebbe una personalità di aratura istituzionale: si cerca tra le “riserve della Repubblica”, non tanto Visco indebolito dalle crisi bancarie, quanto Rossi e Panetta (sempre di Bankitalia) oppure Frattini, Catricalà, Massolo. La Verità avanza un’ipotesi simile e parla di “ammucchiata nazionale”: il governo avrebbe come pilastro la riforma costituzionale, e con una impronta federalista conquisterebbe anche Salvini. Forza Italia e Pd ci andrebbero a nozze, per Lega e M5S sarebbe più complicato.
La Stampa parla di democratici tentanti dal centrodestra: “Con Tajani premier sarebbe fatta”. Continuano anche i contatti col M5S: giovedì l’incontro tra la Raggi e Zingaretti. Leu apre ai Cinque Stelle: “I nostri elettori sono andati lì, verifichiamo se c’è convergenza” l’analisi di D’Alema, Fratoianni e Cofferati (Giornale). Sul Fatto gli appelli da sinistra al Pd.
Salvini in manovra per il governo, gli mancano 51 voti ma vuole provarci lo stesso (Stampa): oggi parlerà a Milano alla Scuola della Lega domani ci sarà consiglio federale. Ma si guarda a domani, alla direzione dem per capire che fine faranno gli spezzoni del Pd. “Altolà ai giochi di palazzo: o al governo col nostro programma o niente” dice il fedelissimo Fedriga (Giornale).
“Il governo sarà del centrodestra, Salvini ha sempre detto che rispetterà i patti così come noi rispettiamo che sia la Lega a proporre un candidato per Palazzo Chigi – dice Tajani al Messaggero – Con chi? Vedremo. Anche Salvini ha mandato un segnale al Pd, aspettiamo di vedere come evolve il dibattito interno nei partiti”.
Su tutti la crisi interna al Pd: cade la testa di Renzi, Martina segretario a tempo (Giornale), il Pd si schiera tra Delrio e Zingaretti (Repubblica). Delrio nicchia, scrive la Stampa: non si sente tagliato per un ruolo di partito a meno che non sia Renzi a chiederglielo e che sia un incarico pieno. Franceschini e Calenda si chiamano fuori. Renziani e franceschiniani starebbero con Delrio, scrive Repubblica, Orlando primo sponsor di Zingaretti ma anche Martina spera di rimanere in partita. E c’è chi come Sala teme che Renzi mediti di andarsene e fare un suo partito. Merola (Bologna): “Qui si pensa molto agli ereditieri, poco a come è ridotta l’eredità”. Su Repubblica le mosse di Renzi, che stasera raduna il giglio magico nella sua versione più ristretta. Alla direzione fa sapere di non andare – “mando Martina” – ma non è escluso che vada. E’ come se considerasse prioritario controllare deputati e senatori più che avere un successore fedele al Nazareno. Soltanto giocando un ruolo in Parlamento pensa di poter rianimare la leadership. Ecco perché ora è concentrato sulla elezioni dei capigruppo. Se poi gli oppositori interni dovessero prendere il controllo definitivo della situazione scatterebbe la scissione.
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