Davanti alla smobilitazione delle appartenenze, sindacati inclusi, il centro sinistra si mostra incapace di leggere il presente. E rincorre facili scusanti. Una su tutte: "non abbiamo saputo parlare alle periferie". E se invece fossero proprio le periferie a non volerne più sapere dello storytelling di un'aggregazione di carta, arroccata fra salotti e redazioni?
Dissonanza cognitiva: si chiama così il disperato tentativo di tener ferme le proprie opinioni, pur davanti all'evidenza contraria, mantenendo una sorta di fedeltà a dei presupposti sbagliati che non vogliamo riconoscere tali. Un fenomeno che lo psicologo Leo Festinger studiò a proposito degli avvistamenti di oggetti non identificati, i cosiddetti Ufo. La dissonanza cognitiva è tra noi e, a sentire i discorsi che girano nel centro sinistra, si direbbe anche i marziani.
Chi ha seguito le polemiche interne, le annunciate dimissioni e le paventate scissioni all’interno del Partito Democratico può farsi un’idea di che cosa sia il cuore di una dissonanza cognitiva: un non-progetto politico che continua a credersi al centro delle cose e dei processi, anche quando non lo è da tempo.
Davanti alla smobilitazione delle appartenenze, sindacati inclusi, dinanzi alla crisi anche del voto cattolico d'antan, nel centro sinistra si rincorrono facili scusanti. Scusanti che hanno il sapore, appunto, della dissonanza cognitiva. Qual è la differenza? Semplice: alle scuse possiamo anche non credere (e allora rasentano la menzogna), ma a una dissonanza cognitiva il primo a crederci è proprio chi la pronuncia. E questo, in politica, è un grande problema, perché comporta una dissociazione dalla realtà le cui conseguenze ricadono sulle spalle di tutti.
Una dissonanza ricorre in queste ore, soprattutto nei salotti milanesi (forti, si fa per dire, dei loro quattro seggi conquistati in centro città!): «non abbiamo saputo parlare alle periferie». C'è, nel concetto così abusato di periferia, qualcosa che non torna: non solo perché ogni periferia è centro, per chi la abita. C'è, infatti, in questa lettura, un vizio ancora più profondo che è forse il vero vulnus del centro sinistra: la presunzione di credersi al centro del mondo, considerando il mondo circostante periferia.
In sé, e in scala, questa "vision" (diciamolo alla milanese) riassume l’ideologia dell’educatore, del pedagogo, del rivenditore di opuscoli, insomma del colonialista mutatosi in piazzista: conquistar y pacificar, le parole d’ordine. Ma non c’è niente da conquistare. Tanto meno da pacificare. E se fossero Milano (con i suoi salotti) o Roma (con le sue redazioni), oggi, la vera periferia dove le cose che accadono, in realtà non accadono?
E se fossero proprio le periferie reali a non volerne più sapere di questo storytelling del disastro scaricato sulle spalle altrui?
Chi ha seguito le polemiche interne, le annunciate dimissioni e le paventate scissioni all’interno del Partito Democratico può farsi un’idea di che cosa sia il cuore di una dissonanza cognitiva: un non-progetto politico che continua a credersi al centro delle cose e dei processi, anche quando non lo è da tempo.
Davanti alla smobilitazione delle appartenenze, sindacati inclusi, dinanzi alla crisi anche del voto cattolico d'antan, nel centro sinistra si rincorrono facili scusanti. Scusanti che hanno il sapore, appunto, della dissonanza cognitiva. Qual è la differenza? Semplice: alle scuse possiamo anche non credere (e allora rasentano la menzogna), ma a una dissonanza cognitiva il primo a crederci è proprio chi la pronuncia. E questo, in politica, è un grande problema, perché comporta una dissociazione dalla realtà le cui conseguenze ricadono sulle spalle di tutti.
Una dissonanza ricorre in queste ore, soprattutto nei salotti milanesi (forti, si fa per dire, dei loro quattro seggi conquistati in centro città!): «non abbiamo saputo parlare alle periferie». C'è, nel concetto così abusato di periferia, qualcosa che non torna: non solo perché ogni periferia è centro, per chi la abita. C'è, infatti, in questa lettura, un vizio ancora più profondo che è forse il vero vulnus del centro sinistra: la presunzione di credersi al centro del mondo, considerando il mondo circostante periferia.
In sé, e in scala, questa "vision" (diciamolo alla milanese) riassume l’ideologia dell’educatore, del pedagogo, del rivenditore di opuscoli, insomma del colonialista mutatosi in piazzista: conquistar y pacificar, le parole d’ordine. Ma non c’è niente da conquistare. Tanto meno da pacificare. E se fossero Milano (con i suoi salotti) o Roma (con le sue redazioni), oggi, la vera periferia dove le cose che accadono, in realtà non accadono?
E se fossero proprio le periferie reali a non volerne più sapere di questo storytelling del disastro scaricato sulle spalle altrui?
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