10 marzo 2018

Recensione film: LADY BIRD regia di Greta Gerwig





Con Saoirse Ronan, Laurie Metcalf, Tracy Letts, Beanie Feldstein, Odeya Rush, Lucas Hedges, Timothée Chalamet, USA 2017, 84’. Fotografia di Sam Levy, montaggio Nick Houy, musica di Jon Brion.

 



 

La tematica della crescita di una ragazza nel passaggio dall’adolescenza all’adultità (almeno anagrafica) è un tema caro a molta cinematografia francese. Qui ne abbiamo una rara e delicata versione americana. Siamo nel 2002  tra l’11 settembre e la seconda guerra in Iraq, a Sacramento, capitale dello Stato della California - che ne è “il Midwest”  afferma Christine McPherson/Lady Bird - all’ultimo anno del liceo ipercattolico del Sacred Heart Parish School. Sacramento è anche la città natale sia della regista sia della scrittrice Joan Didion.

Il rapporto conflittuale tra Lady Bird (una straordinaria Saoirse Ronan) e la madre (la bravissima Laurie Metcalf) è descritto benissimo nel film, così anche la dolcezza del rapporto con il padre (Tracy Letts). La madre le sta sempre “addosso”, ossessionata dal fatto di dover risparmiare specialmente dopo che il padre ha perso il lavoro ed è in depressione. Ha scelto lei la scuola cattolica per la figlia, nonostante le difficoltà economiche, perché considerata meno pericolosa di quella pubblica.

Sono ben descritte anche le delusioni che Lady Bird prova nelle sue storie con i ragazzi: dalla speranza, al supposto amore, attraverso finalmente la sessualità, finiranno per darle inquietudine e poi solamente scontentezza. Per versi opposti sia Danny O’Neil (Lucas Hedges già apprezzato l’anno scorso in Manchester-by-the-Sea) e Kyle Scheible (Timothée Chalamet, protagonista di Chiamami col tuo nome) si rivelano entrambi estremamente deludenti. Lady Bird è anche indecisa tra l’amicizia rassicurante della bulimica e affettuosa Julie (Beanie Feldstein) e quella, forse meno sincera, della più ambiziosa Jenna (Odeya Rush).

Lady Bird nel suo problematico girovagare in una città di provincia rappresenta una sorta di giovane Holden in gonnella. E come Holden Caulfield vive male la scuola preparatoria al college; perfino la sua espulsione sembra esserne una citazione.  Christine McPherson è proprio una ragazza viziata che si comporta spesso da stupida, come forse la gande maggioranza delle ragazzine della sua età. Ha solo un grande desiderio: fuggire da Sacramento e andare a studiare all’Università sull’East Coast, possibilmente a New York.

Sembra un po’ strano pensare che qualcuno possa avere un mito inverso al trend diffuso negli Stati Uniti, a quello dell’American dream verso la West Coast, dove c’è sempre il sole, tanta natura e non fa mai freddo. Lady Bird ha in testa questo sogno: lì ci sono gli intellettuali. Non si capisce bene perché le interessi tanto, dato che lei a scuola non sembra avere particolari interessi culturali. Questo film è autobiografico, ma sono sicura che Greta sia stata una ragazzina molto migliore di Christine.

La Gerwig è forse più brava come sceneggiatrice che come regista (esordiente), ne sono esempio i film di successo che lei ha scritto con il suo compagno il regista Noah Baumbach, come Frances Ha del 2012 e Mistress America del 2015, interpretati da lei stessa. Il tema della contrapposizione tra East e West Coast era già accennato nella divertente e spumeggiante storia di Frances Ha, una Woody Allen in gonnella. Le scene tutte precedute dal loro indirizzo in una Manhattan ripresa in bianco e nero sembrano esserne un esplicito tributo. Anche il milieu è simile: artisti, ballerini, avvocati e perfino una senatrice sono i personaggi che si incrociano sul palcoscenico newyorkese. Gaffes, goffaggini e disavventure connotano questa ragazza giovane, ma non più giovanissima, con la sindrome di “Peter Pan” che sembra non voler proprio imparare né a vivere né ad avere rapporti sociali semplici. I maggiori problemi sembrano nascere quando Frances deve imparare a badare a se stessa perché la sua migliore amica e roomate Sophie, si innamora e va a vivere con il suo nuovo compagno. Sophie rappresenta una sorta di alter ego, tanto precisa, pulita e ordinata, quanto Frances disordinata e trasandata. “L’essere e l’apparire” è il suo dramma quotidiano che in tal mondo perde affetti, lavoro e piaceri: ad esempio il suo week-end a Parigi è uno dei week-end più disastrati visti sullo schermo. Nello stile del precedente film, Mistress America si potrebbe svolgere in un periodo indefinibile come trenta o quaranta anni fa, se non fosse per gli smartphones di nuova generazione: lo spinello per dimenticare, il bere per incontrare e per essere cool, il college con i circoli letterari e i teatrini off, sono una costante senza tempo della Manhattan che tutti abbiamo iniziato a conoscere e ad amare fin dagli anni ’70, specialmente nella cinematografia alleniana. New York amata e odiata contemporaneamente dai protagonisti costituisce il luogo delle “opportunità”, dove tutto può succedere, dove si possono concretizzare i sogni: Brooke (Greta Gerwig) potrebbe aprire un ristorante con incluso anche il parrucchiere, un po’ come si stesse a casa propria, e Tracy (Lola Kirke) potrebbe organizzare un proprio Club letterario con una propria rivista dove pubblicare i suoi racconti e quelli degli amici.
Tra uno spinning e l’altro l’irrefrenabile Brooke, accompagnata dalla futura sorellastra, incontra gli investitori, dirige i lavori di ristrutturazione, cerca finanziatori tra i suoi ex per il ristorante “Da mamma”. È così che finisce da una sua ex amica che ha sposato il suo ex fidanzato ricco e che vive a Greenwich nel Connecticut. Qui in una raffinata villa super-minimalista è rappresentata una parodia della “perfetta” coppia borghese piena di iniziative, dal marketing al volontariato con gli anziani.


Le storie di Frances Ha e Mistress America potrebbero essere considerate come prosecuzioni di quella di Lady Bird. Il film ha vinto due Golden Globes – miglior film commedia e migliore attrice protagonista in una commedia -, ha ottenuto tre candidature al BAFTA (British Academy of Film and Television Arts) e cinque candidature agli Oscar 2018. Lady Bird - il cui montaggio però non è impeccabile - in ogni modo è carino, garbato e Saoirse Ronan è bravissima nel mostrare tutte le sue infinite sfumature, e così anche gli altri interpreti.

 

 Ghisi Grütter
 


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