7 marzo 2018

MIGUEL GOTOR

Miguel Gotor, senatore uscente di Liberi e Uguali, candidato alla Camera dei Deputati  nel collegio plurinominale di Roma Uno,  non è stato rieletto. Tre Righe pubblica, riprendendolo dalla sua pagina fb, il suo  ringraziamento a quanti lo hanno aiutato, sostenuto  e votato nella campagna elettorale, e  il suo appello ad una ripartenza politica confortati dalla fondatezza dei valori e dei principi su cui poggia il pensiero di Liberi e Uguali.
Tre Righe lo ringrazia a sua volta per l'impegno e la passione politica con cui ha segnato la sua azione parlamentare nella scorsa legislatura, sia per la sensibilità umana  che ne ha caratterizzato sempre la condotta.
D.F.
 
 
 
 
 
Desidero ringraziare i volontari e i militanti che mi hanno sostenuto in questa campagna elettorale e quanti hanno votato per Liberi e Uguali.
Si riparte da un risultato negativo e al di sotto delle attese, ma in questi anni, pur tra scelte difficili e persino dolorose, abbiamo fatto quanto dovevamo (magari non abbastanza e al tempo giusto) per rimanere legati ai nostri valori e convincimenti più profondi.
Altri non possono dire altrettanto. Infatti, in questi anni, la cosa che più mi ha amareggiato è avere dovuto constatare che in troppi quei valori li hanno abbandonati mossi da un unico argomento: «con Matteo Renzi finalmente si vince».
Ho sempre pensato che così non fosse e non sarebbe stato perché se la sinistra disarma se stessa - prima o poi - arrivano gli altri ad alzare le sue bandiere e a rappresentare interessi nel mondo del lavoro che non hai voluto ne’ saputo più ascoltare. Così come ho ritenuto che il risultato del 2013 (25 per cento come Pd e 29 per cento come coalizione di centrosinistra), grazie al quale il Pd ha vinto il premio di maggioranza portando in Parlamento un numero senza precedenti di giovani e nuovi deputati, governato per 5 anni l’Italia esprimendo tre presidenti del Consiglio e svolgendo una funzione di baricentro dell’intero sistema politico, rappresentava un punto di resistenza per la storia del centrosinistra italiano che, purtroppo sarebbe rimasto e rimarrà a lungo ineguagliato.
Oggi la crisi riguarda l’intero campo progressista in tutte le sue varianti, politiche e culturali che si ritrova, a una sorta di «anno zero»: noi di Liberi e Uguali, il Partito democratico a trazione renziana , l’opinione pubblica e la cultura civile espressa da giornali come «la Repubblica».
Sul che fare ora vi invito intanto a meditare un brano di Antonio Gramsci che si trovava, in carcere, a dovere riflettere su ben altri rovesci e in un contesto ben più drammatico di quello attuale. Leggetela e rileggetela, e provate a sostituire i simboli storici scelti da Gramsci per sfuggire alla censura fascista con i protagonisti di oggi fuor di metafora: chiedetevi chi sono i «45 cavalieri ungari» che hanno fatto scorribanda nel campo progressista, quale sia stata la guerra dei trent’anni che ha logorato il centrosinistra, ma soprattutto proviamo a trarre insegnamento - se aspiriamo a essere «politici realisti» dal succo del suo ragionamento che vale come non mai ancora oggi: per la sinistra sarebbe illusorio pensare di ripartire dal parlamentarismo e basta, ma soprattutto non si ritorna mai indietro (magari coltivando l’astrazione ideologica che Renzi e il renzismo siano stati un accidenti della storia e non una delle sue conseguenze), perché le cose che accadono, quando avvengono, modificano in modo irreversibile il quadro a livello popolare e ti costringono a fare i conti con la situazione nuova che si è venuta a creare, senza richiamarsi ai «fantasmi del passato».
Ma anche nei momenti più duri, bisogna resistere e ripartire, che significa perdere senza perdersi e, da oggi, rimboccarsi le maniche e mettersi al lavoro per trasformare la militanza, l’attivismo e le energie, vecchie e nuove, che abbiamo messo in movimento in quest’ultimo anno, in un nuovo partito della sinistra italiana, radicato nel mondo del lavoro, che rappresenti i bisogni dei ceti popolari e si impegni a costruire un campo politico e civico più largo.
Buona giornata
STORIA DEI 45 CAVALIERI UNGARI - Quaderno 15 (II) § (35)
Ettore Ciccotti, durante il governo Giolitti di prima del 1914, soleva spesso ricordare un episodio della guerra dei Trent’Anni: pare che 45 cavalieri ungari si fossero stabiliti nelle Fiandre e poiché la popolazione era stata disarmata e demoralizzata dalla lunga guerra, siano riusciti per oltre sei mesi a tiranneggiare il paese. In realtà, in ogni occasione è possibile che sorgano «45 cavalieri ungari», là dove non esiste un sistema protettivo delle popolazioni inermi, disperse, costrette al lavoro per vivere e quindi non in grado, in ogni momento, di respingere gli assalti, le scorrerie, le depredazioni, i colpi di mano eseguiti con un certo spirito di sistema e con un minimo di previsione «strategica». Eppure a quasi tutti pare impossibile che una situazione come questa da «45 cavalieri ungari» possa mai verificarsi: e in questa «miscredenza» è da vedere un documento di innocenza politica. Elementi di tale «miscredenza» sono specialmente una serie di «feticismi», di idoli, prima fra tutto quello del «popolo» sempre fremente e generoso contro i tiranni e le oppressioni. Ma forse che, proporzionalmente, sono più numerosi gli inglesi in India di quanto fossero i cavalieri ungari nelle Fiandre? E ancora: gli inglesi hanno i loro seguaci tra gli indiani, quelli che stanno sempre col più forte, non solo, ma anche dei seguaci «consapevoli», coscienti, ecc. Non si capisce che in ogni situazione politica la parte attiva è sempre una minoranza, e che se questa, quando è seguita dalle moltitudini, non organizza stabilmente questo seguito, e viene dispersa, per un’occasione qualsiasi propizia alla minoranza avversa, tutto l’apparecchio si sfascia e se ne forma uno nuovo, in cui le vecchie moltitudini non contano nulla e non possono più muoversi e operare. Ciò che si chiamava «massa» è stata polverizzata in tanti atomi senza volontà e orientamento e una nuova «massa» si forma, anche se di volume inferiore alla prima, ma più compatta e resistente, che ha la funzione di impedire che la primitiva massa si riformi e diventi efficiente. Tuttavia molti continuano a richiamarsi a questo fantasma del passato, lo immaginano sempre esistente, sempre fremente ecc. Così il Mazzini immaginava sempre l’Italia del ‘48 come un’entità permanente che occorreva solo indurre, con qualche artifizio, a ritornare in piazza ecc. L’errore è anche legato a un’assenza di «sperimentalità»: il politico realista, che conosce le difficoltà di organizzare una volontà collettiva, non è portato a credere facilmente che essa si riformi meccanicamente dopo che si è disgregata. L’ideologo, che come il cuculo, ha posto le uova in un nido già preparato e non sa costruire nidi, pensa che le volontà collettive siano un dato di fatto naturalistico, che sbocciano e si sviluppano per ragioni insite nelle cose ecc.
 
 
 

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