5 marzo 2018

Recensione film: IL FILO NASCOSTO regia di Paul Thomas Anderson

 Con Daniel Day-Lewis, Vicky Krieps, Leslie Manville, Brian Gleeson, Harriette Sansom Harris, USA 2017. Musiche di Jonny Greenwood e costumi di Mark Bridges.



 Siamo all’inizio degli anni ’50 in una Londra appena uscita dalla guerra, nel raffinato atelier di moda di Reynolds Woodcok (un magnifico Daniel Day-Lewis), frequentato dalle più importanti donne dell’alta società britannica. Il “divino” sarto – le cui vicende sono ispirate a quelle dell’egocentrico fashion designer Charles James – “partorisce” le sue opere d’arte tra sofferenza e passione maniacale, cercando di elidere ogni distrazione e annullare ogni piccolo rumore disturbante. Vive, come si dice, in “casa e bottega”, al piano di sopra del suo atelier con sua sorella non sposata Cyrill (una strepitosa Leslie Manville). Lui è insopportabile nel suo aver tutto sotto controllo, nell’essere pieno di fisime e di fobie; ha un rapporto morboso con la sorella e continua a dedicare tutto il suo prezioso lavoro alla madre, che gli ha insegnato il mestiere da piccolo, e che spesso crede di vedere ancora, avvolta nel suo secondo abito da sposa confezionatole da lui stesso. Cyrill, a sua volta è un’altra vestale della moda, che lascia al fratello tutti gli onori e dirige la ditta prendendosi lei tutti gli òneri, compreso il dover liquidare le sue varie fidanzate effimere. Alma Elson (la trentenne lussemburghese Vicky Krieps) è l’insignificante ragazza che fa la cameriera in un locale nel North Yorshire e che lui riesce a trasformare fino a farla diventare perfino seducente.

Il tema centrale del film Il filo nascosto, a mio avviso, è il difficile amore tra due persone, una delle quali è fortemente narcisista che non riesce a uscire da se stessa, né ad avere un rapporto autentico con l’altra, né tantomeno averne rispetto. Ciò che il film mostra è un avvicendarsi di bisogni tra un uomo adulto e già di mezza età, affermato e di successo, e una ragazza molto giovane e un pochino capricciosa, ma anche volitiva e determinata. Sembra che si alternino fasi in cui lui ha un ruolo paterno quasi educativo nei confronti della giovane sprovveduta, a momenti in cui lei si sacrifica in una sorte di martenage, di accudimento, di vestale della sua salute a tutti i costi e a qualsiasi prezzo. Si scoprirà poi avere una specie di “Sindrome di Polle”, un disturbo mentale che spinge ad arrecare danno a qualcuno (in generale bambini o incapaci) per poi prendersene cura e, soprattutto, attirare su di sé l’attenzione. A un certo punto della storia sembrerebbe che entrambe le donne si vogliano ribellare, stufe di essere subordinate alla ossessiva ricerca di perfezionismo di Reynolds, ma la storia prende una piega diversa mettendo, invece, in evidenza il lato sadomasochista del rapporto tra Reynolds e Alma.

La splendida fotografia ricca di dettagli, l’atmosfera ricostruita magistralmente e gli abiti sontuosi, descrivono l'assillo del creatore, del guru, dello stilista così amato dalle donne per le quali lui inventa, lasciando talvolta cucito nel vestito un bigliettino (segreto) scritto ricamato che persona, ancor di più, le sue creazioni.

Il film è girato in pellicola e ha una splendida colonna musicale (musiche di Jonny Greenwood) che si alterna a brani di Debussy, Berlioz, Brahms e al “Piano Trio” n. 2 di Schubert. Alcuni critici hanno riscontrato, quale modello, il romanzo “Giro di vite” di Henry James del 1898. Altri hanno paragonato il film a “mostri sacri” come alcuni di Alfred Hitchcock (ad esempio Rebecca la prima moglie del 1940) o rinvenuto analogie estetiche con alcuni di Stanley Kubrick (come Barry Lyndon del 1975), o di Max Ophüls (Lettera da una sconosciuta del 1948), come confessa lo stesso Anderson. Così, infatti, afferma il regista in un’intervista: «…la mia ispirazione viene dai film degli anni Quaranta e Cinquanta, da sempre. Il filo nascosto è il mio personale omaggio al cinema di Max Ophüls. Non uso le moderne convenzioni cinematografiche quando scrivo o dirigo, così come non amo la maggior parte delle innovazioni tecnologiche. Il cinema che amo e che voglio fare è quello che non c’è più». Il film è girato con tempi lentissimi che non guastano, ma forse una ventina di minuti in meno nel finale avrebbe giovato alla piacevolezza del film.

Il filo nascosto è l’ottavo lungometraggio dello statunitense Paul Thomas Anderson (Il petroliere, The Master, Vizio di forma, ecc.), che ne ha scritto la sceneggiatura , diretto la regia e fatto anche da operatore . È candidato a sei Oscar 2018 per miglior film, miglior regia, migliore attrice non protagonista a Lesley Manville, miglior costumi a Mark Bridges, migliore colonna sonora a Jonny Greenwood e miglior attore a Daniel Day-Lewis che ne ha già vinti meritatamente tre: per Il mio piede sinistro del 1989, per Il petroliere del 2007, e per Lincoln del 2013.


Ghisi Grütter







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