Mi è venuta una strana idea: ma se facessimo un po’ di campagna elettorale?
Il pippone del venerdì/41
Nell’ordine, abbiamo riempito queste settimane con le seguenti polemiche: all’assemblea c’era troppa gente; il nome Liberi e Uguali è maschile; il leader non è stato votato dall’assemblea; Grasso ha chiamato le donne foglioline; Grasso in passato ha elogiato Berlusconi; azzerare le tasse universitarie non è di sinistra; l’assemblea dei delegati (al nazionale) del Lazio non ha votato il mandato a Grasso per aprire un confronto sulla Regione, pur non avendo votato, però, era contraria; la Boldrini sbaglia a chiudere ai 5 stelle; Bersani sbaglia ad aprire ai 5 stelle; Grasso è troppo decisionista; Grasso non decide nulla, è ostaggio dei veterocomunisti; D’Alema non deve parlare di quello che succederà dopo le elezioni; D’Alema non deve parlare di programmi, ci dica cosa farà dopo le elezioni; D’Alema non deve parlare; D’Alema deve essere più presente non può fare solo la campagna elettorale in Puglia; sono troppi i parlamentari uscenti candidati nelle liste; le liste sono state decise tutte nelle segrete stanze; Liberi e Uguali nasce con tutti i vizi del passato, la base non conta nulla; in Liberi e Uguali c’è troppo assemblearismo (vedasi caso Lombardia); dobbiamo assolutamente convincere Anna Falcone a candidarsi con noi; la candidatura della Falcone è il tipico esempio dell’opportunismo in politica.
Ometto tutte le polemiche minori su questa o quella dichiarazione che non andava bene, ometto anche le sopracciglia della Boldrini (presidente diamo una sfoltita alla foresta, il riscaldamento globale non ne risentirà). Ometto anche le prossime polemiche sul materiale di propaganda che sarà sicuramente troppo generico, ma anche troppo prolisso, colorato, ma troppo pastello, per non parlare delle liste per le regionali sulle quali non oso pensare cosa riusciremo a tirare fuori. Sarà anche vero che i social hanno sostituito le pareti dei cessi e rappresentano una sorta di moderno muro bianco in cui ciascuno di noi tira fuori il peggio di sé, ma io credo che noi di sinistra ci mettiamo un nostro quid in più. Altro che fake news. Noi abbiamo una sorta di memoria selettiva che ci porta a ricordare solo gli errori, solo le sconfitte. Per cui Bersani diventa “quello che ha governato con Berlusconi”. Che non sia vero non importa. Il problema non è che qualcuno fabbrica notizie false contro di noi, ma che noi stessi siamo i primi ad amplificarle e fare un dramma di qualsiasi pisciatina di gatto.
L’ultima in ordine di tempo, vale la pena di soffermarsi un po’ sull’attualità, è quella sulla composizione delle liste per Camera e Senato. Ora, già parlare di liste è difficile, perché questa pessima legge elettorale ha inventato un meccanismo infernale, fra collegi uninominali, proporzionali, alternanza di genere, pluricandidature e via dicendo. Un meccanismo che, di fatto, impedisce qualsiasi tipo di consultazione della base. E se guardate bene anche chi ha detto di averlo fatto, come i grillini, guarda caso non pubblica i risultati con i voti ottenuti dai candidati e alla fine si è affidato ai vertici per riempire tutte le caselle. Abbiamo provato, con le assemblee regionali, a raccogliere proposte dalla base. C’è stata una grande disponibilità di tanti compagni a metterci la faccia, come si suol dire, anche in quei collegi uninominali in cui tutti ci danno perdenti. Non sarà una corsa inutile la loro. Perché il loro nome sarà quello più in evidenza sulla scheda. E conterà eccome avere candidati credibili in tutta i collegi d’Italia. Gente conosciuta, che aiuti a dare visi e gambe alle nostre liste.
Poi sono cominciate le normali fibrillazioni su questo o sul quel nome “paracadutato” dal centro sui territori. Apriti cielo. I giornali che abitualmente non ci si filano proprio, hanno immediatamente trovato spazio e pagine intere sono state dedicate alla rivolta della Calabria o all’insurrezione della Sardegna. Cortei di protesta in viaggio verso Roma, tessere che volano, sedi occupate. Succede sempre, in ogni elezione. Questa volta il tutto è esacerbato da due fattori. Il primo è sempre riferibile a questa legge che ha eliminato tutte le possibili forme di scelta da parte dell’elettore. Ti concede di fare una croce sul simbolo che hai scelto, niente più. Il resto è già deciso. Il secondo, purtroppo, deriva dalla nostra insufficienza, dal nostro essere lista elettorale e non partito. Per cui sei mentalmente portato a difendere “i tuoi” e se invece ti propongono un candidato che arriva da un’altra formazione politica o da un’altra storia la prendi come offesa mortale. Ci sono ancora problemi, è evidente. Alcuni errori che, spero, saranno corretti.
Dobbiamo fare i conti, però, con un fattore che non dipende da noi: il tempo. Febbraio ha 28 giorni, poi arriva marzo. E’ un attimo, questa campagna elettorale, purtroppo o per fortuna, durerà davvero poco. E per una lista appena nata, con un simbolo mai visto prima, è una corsa a ostacoli. Ora, faccio una profezia, nelle prossime ore le polemiche finiranno, presenteremo le liste, nel Lazio e in Lombardia avremo un supplemento di supplizio per quelle regionali, ma lì la pratica è relativamente più semplice perché c’è spazio per tutti, i guai cominciano dopo con la caccia alla preferenza. Una volta presentate le liste resterà qualche mal di pancia, ma avremo i candidati schierati al nastro di partenza. E che siano paracadutati, aviotrasportati, fanteria o cavalleria, possono pure arrivare dalla luna, ma devono battere il territorio metro per metro.
Qui subentra il mio personalissimo appello: abbiamo limiti evidenti, in questi mesi li abbiamo visti tutti. E credo che abbiamo anche gli strumenti per correggere questi limiti nell’immediato futuro. Senza fare sconti. Ma ora serve una moratoria di un mese. Io sono di vecchia scuola. Si discute e ci si scanna fino a quando non suona il gong. Poi si diventa soldati. Io la vedo così: per un mese i nostri dirigenti sono perfetti, i migliori che avremmo mai potuto sperare. Che nessuno degli avversari osi criticare i nostri candidati. Non ne esistono di più bravi, preparati. E, a dirla tutta, sono pure belli. Esagero, state tranquilli, non sono diventato del tutto pazzo. Qualcuno dei nostri non è bellissimo, lo ammetto.
Esagero per dire come la penso: facciamo un mese di campagna elettorale tutta proiettata all’esterno a far conoscere le nostre proposte, il nostro simbolo. Mettiamoci tutti la faccia. Io resto fiducioso sul risultato finale, il mio obiettivo resta quello di riportare in parlamento non tanto la sinistra, genericamente intesa, ma quella cultura socialista che da troppo tempo manca in Italia. Si può fare. Basta smetterla con le polemiche inutili che interessano soltanto a qualche appassionato di contese sterili, appunto. Armiamoci di scarpe comode, bandiere nelle strade, bussiamo alle porte di tutti, entriamo nelle case, come facevamo un tempo. Strada per strada, portone per portone. E facciamolo soprattutto lontani dai salotti buoni delle città. Torniamo a parlare con i deboli. Se vogliamo davvero ridare voce a chi non ce l’ha dobbiamo chiedergli il voto, come prima cosa. Sono sfiduciati, incazzati con noi? Hanno ragione. La nostra lista, secondo le ultime rilevazioni è più debole proprio fra i poveracci. E allora lì dobbiamo battere. Prendiamoci gli insulti, ammettiamo gli errori, proviamo a convincere quanti più elettori possibili. Vediamo se sappiamo ancora come si fa a stare nelle piazze e nelle strade dell’estrema periferia.
Anche perché, guardate che se va male sarà veramente triste: con chi ce la prendiamo nei prossimi cinque anni se non abbiamo più parlamentari da biasimare anche quando si soffiano il naso?
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