20 gennaio 2018

Recensione film: TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI regia di Martin McDonagh

Con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Abbie Cornish, Lucas Hedges, Caleb Landry Jones, Amanda Warren, USA-GB 2017. Musiche di Carter Burwell.








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Siamo nello Stato del Missouri, cuore e centro degli Stati Uniti, in un middle-of-nowhere, come ce ne sono tanti in America, presumibilmente ai giorni d’oggi. La piccola cittadina di Ebbing è concentrata lungo una Main street, rappresentata con la stazione dello sceriffo e il saloon, reminiscenze di un classico western. La vicenda è difficilmente databile perché purtroppo le tematiche trattate nel film quali il razzismo, l’omofobia, la violenza, lo stupro e la latitanza delle Istituzioni, potrebbero essere uguali oggi come negli anni ’80 o ’90.

Tre Billboards Outside Ebbing, Missouri narra la storia di Mildred Hayes (interpretata dalla strepitosa Frances McDormand) una donna dura, brusca, abituata a risolversi da sola i problemi man mano che le si presentano. Gestisce un piccolo negozio di gadget e oggettini inutili, coadiuvata da Denise (Amanda Warren) una giovane amica nera. Il marito l’ha lasciata per mettersi con una ragazza diciannovenne, così lei deve crescere da sola due figli adolescenti Angela (Kathryn Newton) e Robbie (Lucas Hedges già notato come Patrick in Mancester-by-the-Sea). La figlia un giorno, mentre tornava a casa, è stata uccisa e stuprata, ma dopo sette mesi non si sa ancora nulla dell’assassino né ci sono indagati o sospetti.

Mildred esasperata dalla totale inefficienza della polizia affitta tre billboards su una strada secondaria (dove avvenne la tragedia) e ci fa affiggere i manifesti con frasi di accusa nei confronti dei poliziotti, o meglio del suo capo, lo stimatissimo Bill Willoughby (interpretato dal molto bravo Woody Harrelson): “Stuprata mentre stava morendo”, “Ancora nessun arresto”, “Come mai sceriffo Willoughby?”

Questa decisione attira l’attenzione dei media sul caso irrisolto dell’assassinio di sua figlia, ma sarà mal vista sia dalla polizia locale sia da molti abitanti benpensanti della zona. Da lì tutta una serie di inconvenienti a catena: “La violenza genera violenza” viene ripetuto. Niente di più vero. L’escalation della violenza è, malauguratamente, un elemento caratteristico del film.  Come mi faceva notare la mia compagna di cinema nel film c’è anche una sorta di “doppio salto mortale”: i singoli cittadini si sostituiscono alla polizia, le femmine invece si sostituiscono nell’assenza di cura, ai maschi, che invece a tratti sono sentimentali.

Il regista Martin McDonagh, un affermato drammaturgo britannico, ha scritto anche la sceneggiatura del film sulla scia dei fratelli Coen, ma usando un linguaggio più asciutto. Tutti i personaggi sono molto bene sfaccettati e si ritrova sempre del buono nel cattivo e viceversa. La stessa protagonista, da vittima tende a passare carnefice, nell’ostinata ossessione di farsi giustizia da sola. I dialoghi sono essenziali e scritti con grande precisione. Qua e là McDonaugh fa l’occhiolino al teatro, basti pensare alla scena in cui lo sceriffo e la sua giovane moglie a letto insieme, scherzano citando Shakespeare e Oscar Wilde. Il regista è dotato di forte ironia e spesso le sue “maschere” sono grottesche – pur rimanendo estremamente realistiche – e in alcuni punti diventano persino comiche. L’edipico e represso vice-sceriffo Jason Dixon (interpretato magistralmente da Sam Rockwell) vive con la madre autoritaria mentre il capo della polizia malato di cancro, scrive lettere post-morten dando consigli ai vari personaggi. Il corteggiatore nano vive la sua frustrazione passando dal corteggiamento alla cattiveria, lo sbruffone macho si vanta di conquiste forzose, il neo-sceriffo nero, al posto di certezza, insinua il dubbio in soggetti tendenzialmente psicopatici e così via.

Il regista Martin McDonagh è al suo secondo lungometraggio che è stato già pluripremiato, meritatamente, ai Golden Globe come miglior film drammatico, migliore sceneggiatura, migliore attrice protagonista e migliore attore non protagonista. Ottima anche la musica di Carter Burwell. I tre personaggi principali sono recitati in modo fantastico (bravi anche i doppiatori Antonella Giannini, Roberto Pedicini e Riccardo Rossi) pertanto, Tre manifesti a Ebbing, Missouri, presentato in anteprima mondiale alla 74esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia 2017, parte in pole position per gli Oscar 2018.


Ghisi Grütter


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