I turbamenti del
giovane Törless
Preceduto
da una critica eccessivamente entusiastica –
probabilmente per la nazionalità italiana del regista – Chiamami con il tuo nome, il film di Luca Guadagnino già presentato al Festival di Berlino
2017, mi ha leggermente deluso.
Siamo
nel 1983, nella villa di campagna della famiglia del Professore di Archeologia
Perlman (Michael Stuhlbarg), in provincia di Crema. Lì passano le estati moglie
(Amira Casar), marito e Elio (Thimothée Chalamet), il figlio diciassettenne, ospitando
ogni anno un diverso e meritevole dottorando. Quest’anno è la volta di Oliver
(Armie Hammer), un aitante ventiquattrenne studente statunitense del New
England. L’ambiente è quello di una benestante famiglia borghese ebrea e
intellettuale, dove si parlano diverse lingue con disinvoltura, si legge
Eraclito, si discute degli etimi delle parole, si leggono poesie e si suona
Bach al pianoforte.
Attraverso
lo sguardo di Elio, la prima parte del film, piuttosto bella e intensa, trasmette
quei tormenti adolescenziali e problemi di crescita che tutti noi abbiamo
provato in forme più o meno acute: invidie, gelosie e insicurezze, contrapposte
ad atteggiamenti ostentatamente da adulti, come ad esempio un modo spavaldo di
fumare e di tenere la sigaretta in mano. Tutte emozioni e sensazioni ben trasmesse
dal bravissimo protagonista.
Per
due terzi il film si vede volentieri: gli spazi del villone un po’ dégagé
ereditato dalla madre, le corse in bicicletta nella piatta piana padana, le estive
colazioni all’aperto sotto gli alberi da frutta e i bagni nel fiume o nel lago,
fanno pensare un po’ al Giardino dei
Finzi Contini (De Sica 1970) e un po’ a Io
ballo da sola (Bertolucci 1996). Per
la tematica trattata una cattivissima
amica mi ha suggerito perfino Il tempo
delle mele (Pinoteau 1980)!
Meno
intensa è proprio la parte in cui il desiderio diventa realtà, la passione
vissuta sembra un po’ scontata, le gite in montagna vicino Clusone, e le scene urbane
serali nella provincia di Bergamo, del tutto gratuite.
A
parte Elio, gli altri personaggi - e i rispettivi interpreti - sono tutti un
po’ fuori posto. I genitori sono molto poco credibili come personaggi e anche
poco centrati fisicamente, specialmente il padre. Neppure Oliver è del tutto
convincente, poco statuario per essere considerato una bellezza classica (uno
stampellone con gambe troppo secche e troppo lunghe) e troppo poco ambiguo. Gli
altri ospiti dei Perlman sono tratteggiati al limite del grottesco, come la
vecchia coppia gay un po’ caricata,
ma anche la coppia eterosessuale di intellettuali che straparlano del
pentapartito a guida socialista e della morte di Buñuel. Inserito lì alla TV il
comico Beppe Grillo che fa il verso a Craxi. Un po’ forzata è anche la partita
a carte di Oliver nel bar provinciale del borgo cremasco.
Qua
e là qualche piccola sbavatura del montaggio come un pezzo di musica tagliata
un po’ bruscamente per un cambio di scena o la vista delle curve di montagna nel
bergamasco, che sembrerebbero erroneamente esser percorse in pullman.
Chiamami con il tuo nome è un film
edonista che vorrebbe essere un tributo ai vari illustri maestri cui guarda
Guadagnino: Bertolucci, Rohmer, Renoir, Visconti. La sceneggiatura, tratta dal
romanzo di André Aciman, Guadagnino l’ha scritta con James Ivory e Walter
Fasano. La villa, di cui si è scritto molto, è Palazzo Albergoni a Moscazzano
ed è stata arredata da Violante Visconti di Mandrone con attenzione in modo
sobrio denotante più storia e cultura che ricchezza e status sociale. Varie riprese del borgo cremasco e della villa con
le finestre spalancate e le porte aperte, ricordano alcune immagini di Luigi Ghirri,
il poetico fotografo emiliano.
Il
film probabilmente piacerà più agli americani sempre in cerca di stereotipi
italiani. Mi chiedo però se non fosse stato meglio per rappresentare l’Italia,
mostrare le bellezze di un territorio umbro o marchigiano (per non volere
abusare della regione toscana) invece della pianura padana lombarda.
Ghisi
Grütter
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